domenica 27 febbraio 2011

Delirando



Entro nella stanza. Buio. Accendo l'interruttore e un fascio di luce si propaga rivelando una stanza sporca, polverosa e umida. Insomma uguale a camera mia. Un pezzo di stoffa entra nel cono di luce per poi scomparire subito.

-Chiudi la luce!
-Si dice spegni.
-Ah...hai ragione. Vabbè, vabbè spegnila, spegnila!

Una voce gracchiante, come artigli sulla pera. Vengo scosso da un brivido. Mi era finito un cubetto di ghiaccio nei pantaloni. Obbedìsco a quella voce che non ammette repliche in seconda serata e facco scattare l'interruttore. Cerco di percepire la presenza nella camera con gli altri sensi ma non ci riesco. Forse se ne è andato. Non sapendo cosa fare, nervoso, faccio una puzzetta. Dopo alcuni secondi un odore nauseabondo riempe il locale.

-Puah! Che schifo. Ma che sei, malato? Siediti per dio e lascia un po' la porta aperta.

Di nuovo la voce gracchiante. Ancora indeciso rimango immobile.

-Davanti a te c'è una sedia, deficiente. Dio mio, non riesco a respirare.

Allungo una mano ma non trovo niente, allora faccio pochi passi. Entro in contatto con qualcosa di duro, sposto la sedia e mi siedo al tavolino, a disagio. Improvvisamente un soffio di vento, una brezza leggera sposta l'orribile tanfo e, praticamente nello stesso momento, una candela si accende sul tavolino. Chiudo gli occhi accecato dalla luce improvvisa e in quel momento di buio una fragranza a me sconosciuta mi pizzica il naso. Sa di cacca sotto un pino. Stordito, lascio che i miei occhi si abituino alla luce. Dalla parte opposta del tavolino vedo una sagoma, anch'essa seduta. O svenuta. Per quanto sforzi la mia vista non riesco a distinguere nulla più che un'ombra.
Passiamo alcuni minuti in un imbarazzante silenzio, almeno da parte mia. Quello deve essere l'uomo che mi hanno raccomandato, l'assassino. Non so come sia arrivato fino a questo punto ma, a questo punto non si torna indietro. Comincio a spazientirmi, mi sto per alzare quando mi raggiunge la voce dell'assassino.

-Chi è l'obiettivo?

Il sudore mi fa scivolare le mani. Le raccolgo. 

-Grendel la Pornostar.

Faccio un respiro profondo. La puzza è insopportabile.

-Vuoi che lo faccia in qualche modo particolare? Che riceva qualche messaggio prima di morire? Che sembri un incidente?

Scuoto la testa. Probabilmente non mi può vedere... anche se non ne son sicuro.

-No. Niente di particolare. Cioè se sembrasse un incidente sarebbe meglio. Non lo so, un coltello nella schiena, un alligatore nel letto.

Non riesco a smettere di pensare a i cavoletti di bruxelles..

-Sai qual'è il compenso?

-Si, ecco qui. Pagamento anticipato.

Detto questo, tiro fuori la carta di credito, i risparmi di una vita, e la poggio sul tavolo. Una mano tasta alla cieca sul tavolo e veloce, dopo un paio di minuti, con mano arcigna fa sparire l'onorario.
Rimango con le mani intrecciate, aspettando di essere congedato. Una vampata parte dalla colonnina di cera al centro del tavolino, abbagliandomi. Istintivamente proteggo il viso con le mani; quando le scanso la puzza è andata. Sono da solo nella stanza, dell'altro uomo non c'è traccia. Tranne il simpatico usciere che mi accompagna fuori. Lentamente mi alzo e mi avvio verso l'uscita con la mente piena di dubbi su questi maledetti cavoletti di bruxelles.



Sono impazzito...?


Mago Vendis



Eccolo lì.
Pallido riflesso del mitico mago Guarda. Piazza Navona è il suo palco. Un palco di serie B rispetto al tmepio che è Trilussa.
Eccolo lì.
Illusionista senza illusioni, con due matrimoni alle spalle. Un "no" uscito troppo forte davanti all'altare. Una passione troppo debole per il posto fisso.
Eccolo lì.
Il Dieci di denara fa di lui un cartomante di tutto rispetto; la carta dell'Imperatore fa di lui un indovino infallibile. Insieme una bella scopa non gliela toglie nessuno.
Eccolo lì.
Doppiatore bollito, ignorante incallito. Con più tic di un orologio rotto e con una cultura da wikipedia ad arginare la sconfitta.
Eccolo lì.

venerdì 4 febbraio 2011

Redstar

Tlick.
Lentamente il registratore si mette in moto. Le bobine prendono maggiore velocità producendo un rumore gracchiante ad ogni loro giro. Una voce esce dalla cassa audio.

- Soggetto DH30045, nome in codice Redstar. Cominciamo.

Subito un'altra voce, più decisa, potente e giovane si rivolge al microfono.

- Il mio nome in codice è Redstar ma il mio vero nome è Arthur Dipler. Sono un avventuriero e membro attivo del Dipartimento H.
Sono nato l'11 maggio del 1911 a Portland. All'età di 3 anni mi son trasferito a Columbia, in South Carolina e... Vado bene così?

- Si, si, continua pure.

- La mia era, è, una famiglia benestante. Mio padre, William, è uno scrittore di successo e si è sempre preso cura di tutta la famiglia. Posso dire di aver avuto un'infanzia felice dopotutto. Ho frequentato la Columbia High School. Ho subito dimostrato una spiccata propensione per le materie umanistiche: letteratura, storia, filosofia, diritto. Studiavo molto ma non facevo solo quello. Ero anche un appassionato membro della squadra di nuoto ma, nonostante i miei sforzi non sono riuscito mai a spiccare. Ho partecipato ad alcune gare, senza però raggiungere traguardi notevoli, tranne un secondo posto al campionato statale del '27.
Dopo essermi diplomato a pieni voti mi sono trasferito in Massachusetts alla Harvard University, con la benedizione dei miei, e mi sono iscritto alla facoltà di Legge.
Ho trascorso alcuni dei migliori anni della mia vita in quella università. Qui ho trovato amici fidati, un mentore e futuri colleghi molto competenti. E Catherine.

Una pausa. Lunga. Dolorosa.
Studiava anche lei legge, era un anno avanti a me. La conobbi ad una festa organizzata dalla sua Sorellanza, a cui partecipava la mia Confraternita. Abbiamo cominciato a frequentarci e già dopo due settimane facevamo coppia fissa. Poi la mia vita è decollata. Ci siamo laureati, sposati e abbiamo aperto uno studio legale nostro, il Dipler&Elliot, a Boston. Per questo devo ingraziare i nostri genitori, che ci hanno sempre appoggiato, moralmente e economicamente.
Dopo nove mesi il Cielo ci ha benedetto con una bellissima bambina.

Un'altra pausa, questa volta più lunga.

- Se la sente di continuare?

- Si, si. E' solo il passato.
...una bellissima bambina, Sophie. Sophie era tutto per noi. Eravamo una famiglia felice. Quelli sono stati i tre anni migliori della mia vita. Poi è arrivato Bayne.

La voce si fa più dura.

Travor Bayne era un pazzo. 19 luglio 1938, Boston. Io ero al lavoro in ufficio, il caso Peterson. Non lo scorderò mai. La mia cliente, Martha Peterson, era stata vittima di una truffa. Non un caso difficile, le prove erano chiare. Cat era in centro con Sophie per comprarle un vestitino. Si erano fermate alla tavola calda per mangiare, quando Bayne è entrato e ha cominciato a sparare sugli avventori. Tredici morti e sei feriti.
E poi si dileguò.
Ero disperato quando mi arrivò la notizia. MI crollò il mondo addosso. Ho passato una settimana chiuso in casa, a piangere e a bere.
Dopo la fase dell'autodistruzione ho passato la fase della rabbia. Passavo quasi tutti i giorni i palestra, tra pesi e kick-boxing. Trascuravo il lavoro, ero sparito per amici e parenti. Mi chiusi in me stesso.
Passavano i mesi e la polizia brancolava nel buio. Bayne sembrava sparito nel nulla.
Ho cominciato a girare di notte, nei quartieri malfamati, per cercare Bayne. Ho riscosso alcuni vecchi favori dalla polizia, ho pestato gente. Spacciatori, ladri, qualche assassino. Ma Byrne non si trovava.
Finalmente un giorno la polizia mi chiamò e mi disse di aver trovato Byrne, morto. A quel punto è scattato qualcosa. Ho indossato questa maschera e sono diventato il giustiziere di Boston. O almeno è quello che di cui cerco di convincermi, ogni volta che esco di notte. Ho ripreso il mio lavoro e ho anche una normale vita diurna, fatta di amici e persone amate.
Poi qualche mese fa, prima dello scoppio della Grande Guerra, ho sentito alla radio il programma di reclutamento del Dipartimento H.
Mi avete dato un costume, delle armi, un addestramento. Mi avete dato un nome di battaglia e, cosa più importante... uno scopo.

Il registratore si spegne. Mani si stringono. Gli uomini si allontanano tutti dalla sala. Tutti tranne lui. Lui è rimasto. Mani giunte sul tavolo, scavare nei ricordi ha riaperto una vecchia ferita. Una cosa non ha detto ai suoi esaminatori. Una quattordicesima persona morì a Boston, ci fu un'altra vittima. Lui. Quel giorno morì insieme a sua figlia e a sua moglie e niente, NIENTE, lo potrebbe convincere del contrario. Quando sentì quel proclama alla radio non pensò alla guerra, alla patria o ad altro, e non era vero che il Dipartimento H gli aveva dato uno scopo. Uno scopo lo aveva già: raggiungere i suoi cari. Il Project HOPE gli dava solo l'occasione di farlo tentando di compiere qualcosa di giusto.